Correva, a perdifiato. Correva. Si guardava dietro di tanto in tanto, ma data l'incredibile velocità che ormai teneva stabilmente, addirittura accelerando in alcuni tratti, ogni sguardo che cercava di tendere oltre le sue scapole dava come risultato solo un insieme indefinito di puntini, ombre, colori mescolati come in una tavolozza di Pollock.
Correva ad ogni modo.
E lo inseguivano, lo sapeva.
Rumori di sterpaglie rotte, rami spezzati, sassolini che schizzano al passaggio del peso delle scarpe e si infrangono, piccoli proiettili, sul tronco degli alberi, sulle foglie.
Respiro affannato, un silenzio simulato, ma che è inutile quando si corre, tanto più quando si è terrorizzati. I crepitii notturni, dentro quel bosco si moltiplicavano, le scarpe diventavano innumerevoli, tenebre lunghe si allungavano, ramificandosi in immagini distorte di dita che adocchiano, le voci sussurravano diverse, si davano indicazioni, segnali, avvertimenti, in conclusione, sostegno feroce, ferino, predatore.
Lo inseguivano, ad ogni modo.
E lui correva, lo sapevano.
Non sarebbero andati troppo lontano, le corse devono finire prima o poi: questo principio era ben in mente a tutte e due le compagini, come lo è nella natura primitiva dell'uomo.
Una cittadina della Bretagna, case basse, colori soffici, tenui all'imbrunire, strade strette, dinoccolate, diversi spessori e rilievi delle pietre che lastricavano la pavimentazione.
Correre, questo importa,non guardare tutt'intorno il paesaggio.
Le finestre colorate di nero, di verde, di rosso si riunivano in un colore che, al crepuscolo, diventava una tavolozza uniforme, descrivendo un percorso studiato a tavolino proprio per quella sera: una strada senza vicoli, da cui l'unico modo di uscire era la fuga sudata, guardandosi intorno.
Battere di mattonelle, no, scontrarsi di tegole, il rumore vuoto della ceramica che si bacia sui tetti antichi di quel villaggio.
Correvano sul tetto loro, gli inseguitori.
Dall'alto del cielo potevano seguirsi bene i movimenti rapidi, veloci, a scatti, di quelle ombre, cinti di larghi mantelli, tutti neri, loro neri, fugaci pezzi d'oscurità che saltellavano sopra le case, fissando i loro occhi, perennemente illuminati sulla preda ormai sfiancata.
Aumentavano le ombre, ma non scendevano in strada, corteggiavano il percorso della lor vittima, riunendosi, sempre più numerosi e soffocanti, emergendo dalle strade laterali e aggrappandosi alle grondaie per una adunata frettolosa e sopra i piccoli edifici.
Poi venne, come spesso accade con le strade, la fine di quella via.
Il dirupo era scosceso, straripava di rocce aguzze, figlie di un erosione del tempo che, mai, lascia doma la natura e sprovvista dei suoi aculei per difendersi dagli uomini. Il mare tergeva rovente e folle i suoi scogli, amoreggiando con essi con truce, primordiale erotismo, schiuma su terra, roccia nel mare, sbattendo le sue braccia di onde sul seno florido di una montagna ancora soda.
E lo sapevano le due compagini, s'era già detto, prima o poi occorre fermarsi.
E così fecero, prima la preda, poi l'inseguitore.
Ferma sullo scoglio la triste vittima umana di una commedia divina fatta di eventi naturali che si abbattono gli uni sugli altri, ansimava, ormai vivacemente, le ultime esalazioni della sua vita supposta.
Fermi e concentrandosi in una unica macchia, gli arcigni inseguitori, assassini, vampiri, ancestrali mostrosità deformi delle venature della tenebra, aspettavano, senza fiatare, la decisione fatale del loro obiettivo, il decreto sancito di farsi sbranare.
Dilaniare.
La morte.
Una macchia che sempre più stringendosi diveniva nera, di un nero che si amplia e ricopre.
Ammazzare.
La notte.
Il nulla.
Un cimitero, le lapidi in terra, una terra coperta da fili d'erba verde brillante, ma, al contempo, scuro, opaco, nebuloso. Angeli della morte a proteggere, nella loro consistenza marmorea, le vite spente dei cari di altre persone persone lontane da quel luogo.
La preda si aggira silenziosa tra quelle tombe, gravi, lucenti, nel buio della notte finita o del mattino che comincia, mentre riflessi di luce danno le sembianze distorte di ringhiere usurate e cadenti, piegate, ricurve, odiosamente tetre e inquietanti, paurose.
Voci sotterranee, voci nell'aria, voci che sospirano, pianti tremendi di una follia triste che, quando arriva l'ora di dormire non ha chi gli racconti favole e allora, dissennata irrealtà, diventa la pazzia di un inseguitore.
Ma ora nessuno insegue, perchè nessuno ha da correre.
Tutto tace.
Grilli tra le piante e i crisantemi.
Riflessi violacei da lontano, la vittima si appresta verso l'indicazione sicura di quella luce e di fronte a sè, nel bel mezzo i un cimitero, la grande piramide, ma i trovata, di tutti i segreti dell'Egitto, ricettacolo dei misteri, delle malattie, del crogiolo orrido e nero del Male, origine sconsacrata della natura umana.
Canti rituali.
Litanie.
Lamenti.
Urla.
Tutto è rallentato, la preda entra di scatto, senza capire, vuole evitare la sorveglianza di due vampiri e di due uomini con la testa di falco. Entra dentro, nei cunicoli di solidi e grandi mattoni, la luce violacea si perde nei riflessi giallognoli e rossi della sala centrale.
Un grande spazio, profondo, una fornace al centro, per terra, una loggia carica di mostri, vampiri, divinità dell'oblio che guarda compiaciuta
Su una pedana un guaritore, uno sciamano, un prete, un adoratore del demonio insieme predicano sul corpo lieve d'un ragazzo.
Una preda.
Poi un tremendo sacerdote gli agguanta il cuore, strappa le carni, fiocca sangue dai flutti interiori, un urlo straziante, risate, lamenti, orrido colare, un grido di dolore che si distorce lancinante nell'aria vuota, il corpo si contrare, risale su stesso, poi cade, creolla, si paralizza, si fa dritto, poi floscio e cade, come spezzato, ricadendo agli arti fuori dall'altare sacrificale.
Il sacerdote ha in mano un cuore che pompa, alza lo sguardo, è cieco.
Fissa la nuova preda, incauta è voluta entrare nel tempio della sua morte.
Per un attimo il vuoto nero delle orbite si fa pupilla di luce e lo guarda, lo indica.
Tutti fanno silenzio, lo guardano lo indicano.
Lui corre, ma prima o poi dovrà fermarsi. è la legge dell'uomo.
AS HIMSELF
- the Rob's
- Roma, Italy
- He was born in a lazy tuesday.Just purple flowers around his cradle.Silence and purple flowers.The ancient Fathers whisper their secrets in his ears, before he went away, stolen by the wind, blessed by the moon."You are a travelling man" they said him.The roads of his life were just placed in the other side of our world, but when he became a man he felt the emptiness of the desert,and the acrid smell of the asphalt from the streets of the unknown. So he began writing poetry, singing against the night walls, searching for his home, taking his bag. He was a travelling man. And that's just a chosen destiny tale.
venerdì 4 aprile 2008
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