AS HIMSELF

La mia foto
Roma, Italy
He was born in a lazy tuesday.Just purple flowers around his cradle.Silence and purple flowers.The ancient Fathers whisper their secrets in his ears, before he went away, stolen by the wind, blessed by the moon."You are a travelling man" they said him.The roads of his life were just placed in the other side of our world, but when he became a man he felt the emptiness of the desert,and the acrid smell of the asphalt from the streets of the unknown. So he began writing poetry, singing against the night walls, searching for his home, taking his bag. He was a travelling man. And that's just a chosen destiny tale.

venerdì 29 febbraio 2008

Sinfonia n.1 (Al Mare in Tempesta)

S’infrange tonante,
saggio d’Apocalisse,
proemio stridente
del crollo d’Atlante.

S’innalza, si gonfia,
avvolge e rivolta,
poi cade, s’inonda,
dolente s’imbriglia.

Emerge spumoso,
mano d’onda imperante
pone Tifone
titano, gigante.

Scroscio potente,
gorgoglio d’Inferno,
sovrasta, è suadente.

Riparte, riemerge,
cavalcata angosciante,
riscende, sommerge,
grida di ferro agghiacciante.

Poi, c’è risacca, groviglio umiliante.

Il Tridente emana il verdetto:
nuovo mulino straziante,
crescente si mira,
l’urlo si fa martellante,
vanità d’ira.

Valchirie guerriere,
tremano scogli e barriere

che’l crollo del globo
sorgerà in questo legame
tremendo, proibito
tra l’uomo tradito
e l’animo oscuro del mare.


mercoledì 27 febbraio 2008

La Distanza tra una Solitudine e l'Altra

- Ecco è questo il posto.- disse Alex
- È fantastico.- fece Pete guardandosi intorno.
- Già.-
Così, ancora una volta, dopo tanti mesi, rivedeva il mare. I capelli neri nel vento e gli occhi puliti. Il suo mare: quello dell’infanzia, quello delle prime ragazze, quello delle ore solitarie a guardarsi con l’orizzonte, quello triste burrasca, calma e calura, dei lunghi pomeriggi passati solo a scrivere.
Fermi sul davanzale che sovrastava dall’alto la riva, Alex e Pete s’erano seduti sulle lunghe lastre bianche che davano la panoramica della spiaggia. Spiaggia di fine inverno: il mare, ancora infreddolito che va a ritirarsi, portando i suoi flutti silenziosi via dalla terra, a largo, dove le rocce non possono ascoltare, sepolte da masse d’acqua insonorizzata.
Le rocce ancora, dure e spigolose, testimoni antiche dell’antichità romana, di cui residuano rovine fastose e minuscoli sassi che, dolcemente, intaccano la naturalezza del paesaggio e corrono, circondando la serenità di questa lingua di terra, fino ad un punto ove roccia e uomo si incontrano in un sistema di grotte, scavate dall’acqua e da braccia di schiavi uccisi dalla storia.
Proprio lì, su quel crinale di pietra…
- Il sole al tramonto va a morire e si porta dietro tutte le nuvole…-
Pete non parla e sta ad ascoltare, gli occhi chiusi a fessura dal sole e dalla concentrazione.
-…non so per quale legge naturale, ma sembra quel monte sembra risucchiare dietro di sé tutto quanto il cielo, ed è uno spettacolo che non appartiene a questa terra.-
- Sì, succede quando il sole tramonta.- osserva Pete.
No, non succede: è la poesia del creato che non capiamo, ma copiamo e ci sfugge di continuo. È solo lei, lì, da secoli, ed è solo lì che accade, in quel punto unico in tutto il mondo. Questo passava per la testa di Alex.
Se solo potessi donare quello che ho visto nei vecchi tramonti della mia adolescenza, sospirò silenzioso Alex, sorridendo a quelle due fessure che guardavano intente il riflesso sparpagliato della luce sulle onde.
È tutti lì il mio coraggio di scrivere: nei tramonti del sole sul mare, nelle ombre e nei colori che crea, nei miei occhi ancora avidi di visioni, mentre il cuore è ferito dal senso di un mondo che sempre più si rende notturno. Ancora altri pensieri in quella piccola testa, sparpagliata dalla brezza marina.
Dei bambini stavano giocando a rincorrersi, proprio sotto il davanzale dove, ormai, Alex s’era poggiato con le braccia conserte, mentre Pete già dondolava, i piedi nel vuoto, sedendovi sopra:
- Sembra un quadro – dice
- Sì, lo sembra-
E così inizia una fitta discussione sul mare. Sul mare, vi dico.
Si può discutere sul mare?
- Queste cose che mi dici mi ricordano proprio un libro…- esordisce Pete
Avete voi mai parlato di mare? quello vero che si infrange nell’anima, non quello blu…
- Ma non so che dirti non l’ho letto questo.- riprende divertito Alex
Si parlava proprio di mare? Credo proprio di sì: giovani dei della mattina e del sole, a trattare di quell’elemento che sfida e che attrae, in ogni momento, nell’inconsapevolezza di esserne parte ed infinito blu liquido che si riversa.
Questo è il duello chiaro e preciso, il guanto lanciato, è la rivoluzione tanto amata da Alex che s’abbatte sugli scogli e prende la forma di libri letti e idee cresciute nell’isolamento obbligato dalla comprensione comune.
Anche Pete era un giovane scrittore, proprio come Alex:
- E quando finirai il tuo libro?- chiese Pete
- Non lo so, coi miei ritmi forse mai, ma ho tante cose in testa da voler scrivere. E te?-
Il silenzio di chi non ama rispondere perché se lo tiene nel suo forziere, mica per altro. Alex si girò verso l’adorato mare:
- Siamo proprio tutti bravi, noi, gente che scrive, ad appuntare i sentimenti dell’animo e poi a non capirci nulla a parole parlate. Ci nascondiamo dietro le lettere dell’alfabeto e ce ne raccontiamo di belle…-
- Già.- sorrise Pete, stringendosi nelle spalle.
- Ma poi che seguito diamo ai nostri moti interni se tutto finisce in un claustrofobico murismo?-
Silenzio. Non che Alex sapesse la risposta:
- Dimmelo tu – indicò verso Pete, poi tese le braccia sul davanzale ed gridò: -Ditemelo voi…-
Poi con fare lento e cadenzato fece una smorfia di perplessità e guardò Pete: -…io so solo scrivere.-
È questo il limite estremo della sincerità solitaria in un giorno del mare d’inverno?
Quale limite chiedete, spiriti soggiogatori della brezza tra gli alberi?
Il limite di lasciar perdere l’idea che più si è in tanti più ci si sente soli, il limite che ci divide dal sogno del sentire.
La distanza tra una solitudine e l’altra, pensò Alex.
Il sogno del sentire non è solo giorni passati a scrivere, a leggere, ad ammirare le grandi trasfigurazioni delle immagini nella mente; è bambini mentali, fanciulli marini ad inseguirsi le mani, sono gloriose gesta passate, vive in resti di ville e porti nella valle dell’epopea dell’uomo, sono i riflussi del cielo dietro una qualsiasi montagna della terra.
Il sogno del sentire è scoprire nell’altro un sentire, simile e così facilmente diverso, da condividere obbligatoriamente, così da rasserenare quella lotta che travolgerà il futuro su rotaie di marmo, creandone uno ove si possa, semplicemente, lo ripeto ancora, errori letterari di monotonia, sentire.
Questo sogno taglia il righello tra la distanza di una solitudine e l’altra, occhi luminosi fantasticanti di Alex.
Ed in questo tumulto interiore che scuoteva la tranquillità della giornata, Alex la fece finita coi suoi pensieri, ridendo fiero al mare, del mare.
Così accadde che, in una conversazione di onde, libri, scrittori e ricordi non poteva che uscir fuori il nome di Moby Dick.
Che grande battaglia fu quella!

lunedì 25 febbraio 2008

Cronistoria d'una Nascita


Nacqui nell’occhio d’un puma,
e le vigne benedissero il mio arrivo.
Venni cullato tra grandi fiori fucsia,
in attesa del mio destino incerto.
Fu lì che incontrai il vento
e mi raccontò che non avevo una strada:
ero nella sala d’attesa d’un giardino,
sospeso in un raccordo di sentieri,
così fitto, silenzioso e nascosto,
che capii inconsciamente fosse la mia vita.
Poi partì anche il mio trasporto,
e subito intrapresi un lungo viaggio,
imparando l’importanza dei punti di partenza,
da cui cambiano le destinazioni e gli arrivi.
Nomade sin da subito,
la fortuna mi baciò cosmopolita.
Non ricordo bene, ma credo disse:
- bang, boom, Manitù-
che nella lingua dei padri del fuoco
significa semplicemente:
- E tutto il resto tocca a te.-

sabato 23 febbraio 2008

Notti di Luci e di Stazioni


Le luci della notte scorrono via, veloci libellule nell’oscurità. Palazzi , stazioni, muri ricoperti di rampicanti e di muschi, sterpaglia, altri muri con sopra graffiti, silenzi di nuvole, silenzi di stelle.
Il finestrino del treno riflette tutto questo, dietro una muraglia di gocce di pioggia sabbiose, ormai secche e ferme sul vetro a creare una decorazione piena di sporco divertente.
La luce del neon che viene dalla cabina della mia cuccetta fa uno strano gioco con il buio e, così, il riflesso sul finestrino è un altro me con la mia faccia divisa a metà: un pezzo nella notte, l’altro che mi guarda.
Treni che se ne vanno, come il mio, nella notte di un giorno che è stato di pioggia. Treni che arrivano, come quello di Nicolas, che ho incontrato per caso alla stazione stasera. Incredibili incontri del caso o della strada: lui studia a Milano e, proprio, qualche giorno fa ci scrivevamo che prima o poi le nostre strade si sarebbero incrociate di nuovo e avremmo lungamente parlato davanti ad una bottiglia di porto e qualche biscotto secco improponibile, ma così romantico nell’atmosfera di due amici che discutono sull’essenza del mondo e della libertà. Trovo affascinante che, mentre cercavo il mio binario: “Oh Alex che ci fai qui?”
“Che ci faccio io? Tu piuttosto Matt? Io vado a Torino per il premio di letteratura che ho vinto. Te l’avevo detto no?”
“Sì certo. Io sto aspettando Nicolas che torna da Milano. Ne avevamo parlato l'altro giorno, ricordi? Sto con gli altri.”
“Allora aspetterò con voi. È deciso.”
“Okay, il treno è arrivato ora. Tu facci segno quando arriva, noi ci nascondiamo: vogliamo fargli uno scherzo.”
“Va bene”
E così dopo una decina di minuti a guardarci negli occhi con Matt, ma anche con Fred e un altro loro amico - occhi frenetici, ansiosi che ridacchiano per l’infantilità dei nostri giochi e per la purezza del sentimento dell’attesa e dell’amicizia – ecco che Matt fa un segno con la mano e mi indica in mezzo alla folla. Tanti passeggeri e borse, valigie, zaini, pellicce, giacconi, ombrelli, cappelli, sciarpe, occhiali, capelli che camminano e creano un ritmo rumoroso sulla terra. Alzo, muovo a lato, giro la testa e poi vedo quella chioma di capelli neri ricci che si erge come un cespuglio tra tutti e il passo svelto di chi, e guardo bene se è così –e così è-, cammina con le scarpe bianche, semplici, un po’ logore da vecchio artista, ballerino, ginnasta quale Nick è.
Corre via e mi diverto a guardare. Fortunatamente Matt e Fred non si incantano e partono all’inseguimento: “Ma dove volevi andare con sto passo?”
“Matt, Fred, Andie!”
“E guarda chi c’è?”
Arrivo da lontano, sorrido, perché è divertente, lo è davvero:
“Alex! Anche tu sei venuto!”
“Veramente c’hanno fatto trovare…sto andando a Torino”
“E’ la strada”
“Decisamente amico mio, decisamente”
Ed è tutto cerchiato da una nebbiolina come nei film sfumati da un cerchio che si richiude al centro, ricordo del vecchio cinema in bianco e nero; ed è tutto interessante, entusiasmante, incomprensibile, veloce e commovente: Nick tocca la faccia di tutti, abbraccia, dà pacche, credo voglia controllare se siamo reali, se è così, se la lontananza che ha provato è andata o meno a intaccare qualche formula chimico-fisica per cui ci saremmo dovuti essere trasformati.
Parliamo qualche minuto, qualche battuta sul nuovo assetto del gruppo, sullo studio, sul tutto ritengo, infine.
“Beh, la mia ragazza mi aspetta.”
“Io devo prendere il treno”
“Ciao Alex! Mi raccomando, fatti valere!” dice Matt: per lui bisogna sempre farsi valere. Fred saluta con la mano, anche l’altro loro amico.
“Ciao Alex”
“Ciao Nick, ci rivediamo tanto”
“Per la strada, al prossimo incrocio”
Ridiamo e siamo contenti. Ancora non ho rivisto Nick, ma succederà. È così. Lo sappiamo.

Vie che si incrociano sulle vite e sui binari. E ancora treni che si fermano, treni che non partono, treni senza soste, treni troppo lenti.
Tutte rotaie protese come braccia immaginarie o così voglio immaginarle: s’accavallano, s’aggrovigliano, si abbandonano e si perdono in destinazioni scritte su un tabellone luminoso a cui tutti stanno a guardare. Proprio come le vite.
Solite storie di treni, solite storie di vite che montano ad una stazione, mentre fumo una sigaretta, aspettando la prossima linea gialla dietro cui attendere.

In questa notte rumorosa del borbottare del rumore ferroviario sento che mi manca qualcosa, mentre me ne sto appoggiato sul cuscino della cuccetta, ultimo letto in alto. L’ho vista oggi nei miei amici. Mi manca aver avuto un amico con cui essere aperto quando ero ancora un ragazzino: non ho questo ricordo. Non ho avuto un qualcuno con cui spezzare gli spiriti e, forse, anzi, di sicuro non ho mai voluto spartire con nessuno le verità profonde dell’adolescenza, che sono le più sensibili pur se le meno veritiere o, forse, le più veritiere anche se le prime a cui attentano per ucciderle, riuscendo spesso nel losco tentativo. Quando ho cominciato a capire l’importanza di un cuore che si schiude e di un sorriso che capisce, ero ormai troppo “vecchio” per avere quel legame di chi si chiama solo sapere come sta l’altro, senza trucco e senza inganno insomma.
I miei amici migliori li ho perduti in un istante di rabbia fredda, di quella rabbia fredda che porto dietro quando sono deluso e tradito a causa di quel nulla che trovo grandioso ed imperdonabile. Rabbia orribile, implacabile che vuole vedere distruzione a costo della propria e, ancor peggio, crea fantasie di nemici nascosti.
E m’appartiene, è mia la maledetta. E maledetto sono io con lei.
Orgoglio, orgoglio, troppo orgoglio. Il mio silenzio passato è la mia punizione presente, perché proprio ora vorrei parlare. Quanto mi manca non aver condiviso prima le mie storie con qualcuno e aver perso tempo e terreno.
Che uomo sarei stato? Meno testardo, insensibile, rude? Più futile, simpatico? Un personaggio di luce? Non lo so, non me ne frega niente ora che ci penso.
Forse, non è solo colpa mia: non c’è mai stato nessuno con cui condividere i sogni e coloro che ho trovato m’hanno tradito, e m’hanno beffato perché hanno tradito la mia intenzione di migliorare.
Sono contento che oggi ci sia Jules, Nick, Matt, Jean che, in modo diverso, mi capiscono, mi vogliono bene e con cui parlo di quello che succede nell’aria e nella città.
Grande Jules, amico mio, che quasi mi pestava per esprimermi la sua contentezza per questo premio. Quando capirai quante cose sono in tuo potere fare? Quando capirai che non sei come vogliono farti credere che tu sia? Quando smetterai di schernire i tuoi demoni e deciderai di metterti a sedere e parlare con loro?
Sento un vuoto, mi manca un pezzo, un passaggio che è bruciato via e si sparge nell’aria come il fumo della mia sigaretta. Mi manca aver mescolato i sogni degli altri coi miei quando era bello fare così, quando era bello arrampicarsi sugli alberi e dire le parolacce per telefono alle vecchie signore, quando era bello parlare tra i banchi di scuola.
È per quel vuoto che scrivo? No questa è solo una parte del vuoto tutto.
Allora è questo l’infinito?
Sono sospeso in un pallone aerostatico e non riesco a toccare nessuno.
A cosa appartengo?
Lancio la sigaretta e si perde lucente nel nero vuoto che costeggia questo treno.