- Mi chiamo Alexander Colin McMillan.
Tutti mi chiamano Alex. Tutti dico, anche chi non mi conosce, dopo una giornata insieme fa “Ciao Alex”. Appunto. Tutti. Una volta due miei amici d’infanzia, dopo essersi conosciuti si dicevano “Ma pure tu lo chiami Alex” “Sì” “Pensavo di essere l’unico””Anche io”. Tutti. Non racconto bugie, non sempre almeno.
Vivo a Roma da quando sono nato, o quasi, ma perderemmo troppo tempo se vi spiegassi le mie origini. Vi basti sapere che mio padre è irlandese, fuma la pipa e ama l’Italia, mia madre è italiana, si preoccupa ce non prenda freddo alla schiena e ama leggere, insegnava lingue straniere. Quindi, eccomi qui: con un nome lunghissimo, da non riuscire mai ad entrare negli spazi dove si firma, una vita a spiegare che “No, non sono straniero” “Ma hai il nome…” “Ho genitori originali” oppure “Fatti gli affari tuoi, non è mica tuo il nome”. I bambini devono sempre analizzare la situazione, chiedere perché, dove vanno, chi sono, quale è il senso delle cose, che significato ha il tuo bizzarro nome visto che parli italiano. Insomma, non c’è speranza. È all’asilo che si impara la vera filosofia, mica all’università. I bambini ne sanno molto di più di qualsiasi signor Hegel o Sant’Agostino che capiti in giro. I bambini non si fanno paranoie, loro chiedono solo perché: rispondetegli poi, cercando di evitare un successivo “e perché?”.
Ad ogni modo i miei vecchi sono brava gente: nessun letterato, grande scienziato o luminare prossimo al Nobel, ma m’hanno saputo amare. Ed è questo che conta alla fine. Solo questo.
Io, invece, sono un bastardo. Ho in mente già da tempo di dargli una lettera che porto in tasca tutti i giorni. Cosa aspetto per dargliela? Aspetto di avere il coraggio di essere un codardo, di andarmene via, di partire. Dove? E che ne so io.
Io scrivo solo poesie.
Dico davvero, scrivo poesie, e mi riesce anche bene a quanto pare. Fra qualche mese dovrò presenziare anche ad una premiazione per un libro che ho scritto. Non ve l’aspettavate vero? Non se lo aspetta nessuno. Quando lo rivelo, la faccia del mio interlocutore, interlocutrice è tra il sorpreso, il disgustato, il dubbioso e il “chissà che assurdità scriverà sto tipo". Invece, sto tipo scrive poesie, anzi, ha scritto un libro di poesie.
A dire la verità, avrei sempre voluto scriver un romanzo, ma niente, mi escono fuori le rime, le parole difficili, quelle auliche, e tutte le paranoie da poeta in lotta col mondo, triste, cinico e sofferto.
Studio anche, all’università, ma ora non mi va di parlarne. Ne parlo già talmente tanto all’università dell’università. Almeno studiare mi ha un po’ distratto negli ultimi tempi: mi sono lasciato con la mia ragazza. Sapete quelle relazioni burrascose, ti lascio, ti riprendo, poi “lasciamoci che tanto lo sappiamo tutti e due come va a finire” (veramente io no), ti va di uscire una volta per fare due chiacchiere, io mi gioco il jolly, io vedo, insomma roba così. L’aggravante è stata solo una però: avevo scoperto, dopo un anno, sapete cosa? Sì, bravi. Mi ero innamorato. Cotto. Finito, perduto, smarrito, spaesato, un cretino. Altri sinonimi? Io ne avrei a bizzeffe, ma non voglio tediarvi ulteriormente con queste storie melense. Tuttavia, tutti i miei fantastici voli pindarici erano inutili: c’eravamo appena lasciati quando ho avuto la mia rivelazione sulla via di Damasco o, per essere meno epici, sulla via per tornarmene a casa, una normalissima sera passata a casa di amici.
Gli amici.
No mi posso lamentare di certo degli amici. Ne ho parecchi, pochi buoni, ma si sa come vanno queste cose. A dirvela tutta, dovrei anche andarci da un mio amico ora. Infatti, sarei in ritardo, io sono sempre in ritardo. Dico davvero. Sono uno che è cronicamente in orario sulla tabella di marcia, ma poi, all’ultimo istante, si perde, si gingilla, si fuma una sigaretta, si legge un libro, si mette a parlare da solo, come sta succedendo adesso, ed arriva tardi.
Quindi, scusate, ma non vorrei tardare troppo sul mio ritardo.
Dico davvero, siete un pubblico fantastico, ma non ci siete perciò mi accomiato con molto dispiacere. Buon proseguimento.-
Così Alex la smise di parlare con lo specchio del bagno, si aggiustò i capelli, indossò il cappotto, prese le chiavi della macchina dal mobiletto vicino all’entrata ed uscì. Poco prima di chiudere la porta, la bloccò con uno scatto deciso e la riaprì.
Le chiavi di casa.
Le prese e richiuse la porta dietro di sé.
AS HIMSELF
- the Rob's
- Roma, Italy
- He was born in a lazy tuesday.Just purple flowers around his cradle.Silence and purple flowers.The ancient Fathers whisper their secrets in his ears, before he went away, stolen by the wind, blessed by the moon."You are a travelling man" they said him.The roads of his life were just placed in the other side of our world, but when he became a man he felt the emptiness of the desert,and the acrid smell of the asphalt from the streets of the unknown. So he began writing poetry, singing against the night walls, searching for his home, taking his bag. He was a travelling man. And that's just a chosen destiny tale.
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